Impegno, determinazione, slancio… e un pizzico di fortuna. Questi gli ingredienti che hanno permesso a Giuseppe Ciceroparodontologo e implantologo, tra i pochi dentisti abilitati al doppio titolo per la libera professione sia in Italia che in America – di raggiungere, a soli 30 anni, obiettivi significativi a livello internazionale.

Il suo percorso formativo e professionale, dottor Cicero, l’ha portata a raggiungere – non ancora trentenne – risultati e riconoscimenti importanti a livello internazionale: riepiloghiamo il suo percorso formativo e professionale.

Ho iniziato già a 14 anni a frequentare, sporadicamente, lo studio romano di mio padre, odontoiatra specializzato in ortodonzia, spinto anche dalla mia fami­glia che mi sollecitava a seguire le orme paterne. Mi sono sin da subito appas­sionato e dopo il liceo ho deciso di fare il test di ammissione per entrare alla fa­coltà di Medicina e odontoiatria. Sono riuscito a superarlo e ho iniziato a fre­quentare l’Università di Tor Vergata a Roma. Il quarto anno, vincendo un ban­do Erasmus, sono andato a Valencia dove, dopo le lezioni, ho avuto la possi­bilità di frequentare assiduamente il re­parto di chirurgia orale: è iniziata così la mia passione per la chirurgia e la paro­dontologia. Quindi sono ritornato a Ro­ma per frequentare l’ultimo anno e mi sono laureato.

A quel punto, ho deciso di continuare il percorso di studi e ho cercato una spe­cializzazione affine ai miei interessi e la scelta è caduta sulla New York University, attratto sia dalla possibilità di vivere e scoprire la città che da una realtà clinica downtown dove avrei avuto l’opportunità di vivere un’esperienza melting pot e di trattare una significativa mole di casi.

L’ingresso alla New York University è stato un po’ rocambolesco…

Infatti… a soli 23 anni riesco, senza rac­comandazioni ma semplicemente on li­ne, a richiedere un appuntamento con il dean dell’università al quale mi presento e paleso il mio interesse a partecipare al­la specializzazione di tre anni in parodon­tologia e odontoiatria implantare. “Lei è pazzo” è stata la sua prima risposta… Generalmente infatti non accoglievano persone così giovani e soprattutto senza una precedente esperienza clinica. Il ret­tore mi suggerii quindi di provare a fare domanda per partecipare a un program­ma internazionale, proposta che non ac­cettai perché ero determinato a seguire il corso di specializzazione. Decisi comun­que contestualmente di chiedere l’appli­cation per la specializzazione, pur nu­trendo poche speranze.

Galeotta fu l’opportunità che mi venne offerta di rimanere un paio di giorni e di partecipare a delle lezioni alla New York University; durante uno degli incontri mi imbattei casualmente in un distinto si­gnore che scoprii poi essere il dean di Harvard. Iniziammo a chiacchierare e il discorso cadde su una mia tesi sulle cel­lule staminali della polpa dentale nel campo della rigenerazione ossea, che avevo avuto la possibilità di sviluppare in Italia prima della laurea con il supporto delle professoresse Docimo e Martini. Il tema lo interessò a tal punto che mi pro­pose di andare una settimana ad Harvard a fare una lezione in merito agli specializ­zandi.

Ad Harvard, in quel periodo, era attivo un laboratorio diretto dal professor Giuseppe Intini, uno dei massimi espo­nenti sulle cellule staminali nella rigenera­zione ossea in campo orale, che apprez­zò il mio lavoro e suggerì un’eventuale application ad Harvard. Riferii questa no­tizia alla New York University che, a que­sto punto, mi invitò a sua volta a tenere una lezione sul tema.

Il giorno in cui tenni la relazione erano presenti in sala il direttore del corso di pa­rodontologia e il preside della facoltà di odontoiatria che convinti del valore del mio lavoro clinico/scientifico mi fecero l’i­naspettata proposta: uno dei 6 candidati selezionati per frequentare la specializza­zione si era ritirato e questa incredibile opportunità la offrivano a me!

È iniziato così il mio percorso americano, tre anni durante i quali mi sono concen­trato particolarmente sul tema della rige­nerazione ossea.

Puoi leggere l’intervista completa qui: Odontoiatria 33

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